Dalla robusta rocca, gentili mani operaie accompagnano il filo di paglia verso una Grossmann anni ’30. Solida e precisa come il nome di battesimo, questa cucitrice tedesca prodotta a Dresda dà inizio al processo di ‘avviatura’. Lavorato in cerchi concentrici, il filo di paglia, lentamente, prenderà forma. Verrà rifinito, modellato e stirato su teste sagomate in legno, quindi abbellito con nastri, trecce, bottoni e altri ornamenti. Diventerà uno, cento, mille cappelli. Leggeri, morbidi. Dai colori intensi ed eleganti. Li indosseranno uomini, donne e bambini: famosi e non. Da Carolina di Monaco a Chiara Muti, passando per i set cinematografici e le star di Hollywood, fino alla gente comune che, molto più semplicemente, ama un accessorio simbolo eterno di discreta distinzione.
Ed è facile riuscire a distinguersi dagli altri, quando il cappello in questione è un prodotto della Linea Grevi, la griffe legata all’impresa ultracentenaria di Signa che dal lontano 1875 e attraverso quattro generazioni ha inventato uno stile inconfondibile per la ‘testa’ di milioni di persone.
In verità, l’azienda fu creata da Felice Marinesi, proprio dove ancora oggi conserva la sede, in via della Manifattura, a due passi dal ponte di Signa. Ma presto entrarono in società i due soci Fantacci e Grevi: se i primi diversificarono l’attività (lavorando nella maglieria ma divenendo anche pionieri nell’importazione in Italia dei marchi Rayban e Parker), i Grevi si dedicarono sin da fine ‘800 al settore della paglia e del cappello. Iniziò il bisnonno Attilio, continuarono nonno Silvano e nonna Ada (disegnatrice di linee esotiche di straordinario successo), scovarono nuovi orizzonti per la modisteria Alfonso Grevi e ‘zio’ Beppino, rappresentante in Francia dei prodotti di famiglia.
Oggi l’impresa è in mano ai tre figli di Alfonso: Giuseppe, Silvana e Roberta, quest’ultima stilista e anima dell’azienda, una nonna Ada degli anni Duemila, concentrato di creatività allo stato puro. E’ anche grazie a loro che il marchio Grevi ha saputo recentemente innovarsi, mantenendo fede al proprio sapere artigianale, ma intuendo e percorrendo una strada diversa nel campo della produzione. Da fornitori di grandi marchi, i Grevi hanno così deciso di lanciare una propria linea-moda. “Notavamo che i nostri cappelli, a volte, venivano addirittura copiati - spiega Giuseppe Grevi - e ci siamo detti: ‘perché non realizzare una nostra Linea Grevi?”.
Visti i presupposti, anche stavolta il successo non si è fatto attendere. Con un numero di clienti in scalata esponenziale (da 50 ai 1000 di oggi), Grevi viaggia vento in poppa alla faccia della crisi internazionale con un fatturato consolidato di 3,5 milioni di euro, offrendo lavoro a circa 45 dipendenti (tra operai interni, collaboratori e lavoratrici a domicilio), ed esportando in percentuale pressoché paritetica su due grandi aree di mercato: Giappone e Stati Uniti da una parte, Italia ed Europa dall’altra. Visitando i 1300 mq dello stabilimento di Signa, ci si imbatte in un quadro variopinto di mille teste e di altrettanti colori, e si ha l’impressione di stare in piacevole compagnia. Cappelli piccoli e grandi, eleganti e sportivi, diversi nelle stoffe e nelle tipologie: feltro, shirling, agnello toscano. “Tuttavia la paglia e la modisteria rimangono il nostro mestiere e la nostra specialità – spiega Giuseppe - Il segreto dei cappelli Grevi? La leggerezza e la morbidezza, due qualità rese possibili solo grazie al grande sapere artigianale e al rispetto delle antiche tecniche di lavorazione”. Cappelli per tutte le teste e per tutte le tasche, perché i prezzi spaziano all’interno di un’ampia forbice tra i 40,00 e i 600,00 euro, fino ai modelli esclusivi che arrivano a toccare cartellini da € 1.000,00.
Se gentili mani operaie e cucitrici di precisione, se punteruoli, spaghi e nastri, da 143 anni sembrano fare egregiamente il loro dovere, va comunque detto che quella di Grevi non sempre è stata una storia da libro delle favole. L’azienda fu bombardata nel corso della guerra, subì i danni dell’Arno e dall’alluvione negli anni ‘60, venne distrutta da un incendio sul finire del decennio successivo. A queste avversità, i Grevi hanno sempre avuto il coraggio di rispondere con la qualità dei propri prodotti, con l’attaccamento spontaneo e simbiotico al territorio di origine, e con un legame altrettanto indissolubile con il personale, giunto anch’esso alla terza o quarta generazione. “Leggendo le memorie del bisnonno Attilio, ho notato che alcuni cognomi sono gli stessi che portano le nostre modiste di oggi…” si confessa Giuseppe Grevi con un filo di commozione. E’ proprio il caso di dirlo: tanto di cappello, famiglia Grevi.
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Italy
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